mercoledì 26 agosto 2009

4.0. Imperialismo

Chiamasi i. la tendenza da parte di uno Stato ad estendere il proprio dominio politico, economico e culturale su altri paesi, sia con mezzi pacifici che con la forza. Alla fine, lo Stato egemone esercita il monopolio della forza e impone la sua legge sugli altri Stati. L’i. può essere visto come una sorta di ordinamento fra Stati, equivalente all’ordinamento all’interno di uno Stato. La logica è la stessa, ma posta ad un livello diverso.

4.1. L’imperialismo nella storia
Politiche imperialiste sono state attuate incessantemente nel corso della storia (l’ultima interpretazione, che si sta sviluppando sotto i nostri occhi, è quella degli Usa), ma nessun impero ha resistito alla pressione del tempo. Per quanto l’i. costituisca un tratto comune nella storia di ogni tempo, il termine si riferisce tipicamente alle politiche coloniali perseguite da alcuni paesi occidentali, principalmente Inghilterra, Francia e Germania, seguiti da USA e Giappone, tra la metà dell’Ottocento e la II guerra mondiale. È il periodo del capitalismo industriale maturo, in cui si affermano importanti gruppi imprenditoriali e finanziari, che agiscono a livello multinazionale, dominano il mercato, fino a monopolizzarlo, e ne dettano le regole, condizionando anche le scelte politiche dei diversi paesi interessati.

4.2. Le cause dell’imperialismo
Una delle possibili spiegazioni dell’i. è la seguente: un mondo di Stati sovrani è in realtà, come osserva Rothbard, un mondo anarchico (2000: 305). Ora, finché i diversi capi di Stato sono in equilibrio di potenza, essi si rispettano come pari e, quando devono prendere decisioni di carattere internazionale, si consultano e chiedono la reciproca approvazione. Ma può capitare che un dominus superi nettamente in potenza tutti gli altri, che lo temono e si piegano al suo volere, fino ad elevarlo al rango di imperatore. Questo è quanto è accaduto in passato, fino a meno di un secolo fa. Oggi con la diffusione della DR, la figura dell’imperatore è praticamente scomparsa ed è stata sostituita da quella del Presidente, ma nella sostanza il risultato non è cambiata di molto.
Oggi non ci sono più imperatori, ma l’idea di i. c’è ancora. Tutte le forme di i., passate e presenti, si fondano in quello che possiamo chiamare «principio di superiorità», che può essere interpretato in modi diversi. Un paese può sviluppare un’idea di superiorità su basi religiose, per esempio, sentirsi predestinato a dominare la terra per volere di un dio, oppure perché soggiogato dalle doti carismatiche di un leader (Ciro il Grande, Alessandro il Macedone), oppure perché in possesso di tecniche militari, come la disponibilità di armi in ferro (ittiti), l’uso del cavallo (ittiti), una migliore organizzazione (franchi), oppure una combinazione dei suddetti fattori (romani, arabi, ottomani, mongoli, colonizzatori europei). In ogni caso, alla base di ogni impero c’è una qualche idea di superiorità tale da legittimare la condotta di un paese nei confronti di altri, che si può limitare al semplice controllo delle risorse, ma può anche in vere e proprie azioni di conquista e di dominio esplicito. Sotto questo aspetto, l’i. assomiglia al nazionalismo (vedi http://scuoladidemocrazia-stato-nazione.blogspot.com/).

4.3. Organizzazione politica dell’impero
Di norma, un imperatore neoeletto elimina i nemici più pericolosi e asservisce i rimanenti, mentre divide i frutti delle conquiste con quanti lo hanno servito fedelmente, impegnandosi a tutelate il loro status in cambio di un tributo e della promessa, sotto giuramento di continuare ad essergli fedele, di fornirgli un sostegno militare in caso di sua richiesta. S’instaura così il tipico rapporto di vassallaggio, che, legando un grande monarca con signori di rango minore, rende possibile l’esistenza di vaste e stabili organizzazioni politiche, che chiamiamo «impero».
All’interno dell’impero ciascun vassallo è sovrano a casa propria e può decidere liberamente di imporre tasse e corvée, amministrare la giustizia, decidere la guerra o la pace, con un unico limite: quello di dover dichiarare periodicamente, e di dimostrare coi fatti, la propria fedeltà all’imperatore. Dal canto suo, l’imperatore non può trovarsi dappertutto e non può controllare personalmente la fedeltà dei suoi vassalli. Di fatto egli dovrà scegliere un luogo, o più luoghi, di residenza e dovrà servirsi di propri funzionari, che lo affianchino nella sua opera di governo. Dovrà anche disporre di un esercito permanente, di cui si servirà sia per garantirsi la fedeltà dei vassalli, sia per difendersi dal rischio di attacchi dall’esterno, sia per eventuali ulteriori azioni di conquista. Funzionari e militari ricevono il soldo direttamente dall’imperatore che, a sua volta, lo ricava dal tributo imposto ai sudditi. Nel suo insieme il sistema appare come un’immensa proprietà privata dell’imperatore, dei suoi vassalli e dei vassalli dei vassalli, i quali assumono uno status speciale, ossia un titolo nobiliare e, nel loro insieme, costituiscono la classe aristocratica.
Per evitare che alla morte del sovrano si scatenino furibonde lotte per la successione, si diffonde la consuetudine di trasmettere il potere per via ereditaria e si afferma così il principio dinastico. Il problema è che i dinasti non sono sempre dotati delle qualità necessarie per reggere uno Stato ed è inevitabile che, talvolta, qualcuno ne approfitti per abbattere il legittimo sovrano e instaurare una nuova dinastia. Nessun impero, tuttavia, può sussistere per un tempo indefinito, perché è impossibile eliminare del tutto i fattori interni di disgregazione, né prevedere e fronteggiare adeguatamente i pericoli che progengono dall’esterno.
Perfino ad un sovrano abile e capace, e al culmine della potenza, riuscirà difficile tenere tutto sotto controllo, specie nelle zone più impervie del proprio regno e nelle aree di confine, dove potranno costituirsi dei gruppi di fuorilegge, che non perderanno occasione per assalire viandanti e villaggi, a scopo di rapina. Di solito questi gruppi non costituiscono una reale minaccia per il legittimo sovrano, ma, talvolta, si creano le condizioni favorevoli perché anche un piccolo capobanda possa divenire così potente da rovesciarlo. Le doti richieste sono: spirito di iniziativa, capacità organizzative, determinazione, carisma, mancanza di scrupoli, cieca fede in ideali, forte autostima e tanta fortuna. Chi possiede queste doti, anche se di umili origini, può mettersi a capo di una banda armata e darsi alle razzie e ai saccheggi, arricchirsi, incrementare il suo seguito e tentare la conquista di una fortezza o di una città, quindi conquistare altri territori e altre città.
In tutti i tempi, non sono mancati esempi di imperi creati da leader, condottieri, avventurieri e fanatici religiosi provenienti da basse classi sociali e costantemente alla ricerca di opportunità di acquisire risorse e potere, come Sargon, artefice del primo impero della storia, Liu Bang, fondatore della dinastia Han, Gengis Khan e Timur Lang, anch’essi fondatori di grandi imperi.

4.4. Il ruolo del diritto
Benché costituito con la forza, un impero può avere una lunga durata grazie al diritto, il quale conferisce legittimità all’imperatore e stabilità al sistema politico da lui creato. Il diritto afferma che il sovrano è legittimato a governare perché ha ricevuto il suo potere da Dio e, di solito, l’opinione pubblica non fa fatica ad accettare questo principio, anche se tutti sono in grado di notare che, in realtà, il potere origina dalla forza. Questa ambiguità traspare in Europa, dove, dopo la caduta di Roma, da un lato rimane il costume, secondo il quale l’imperatore viene unto da Dio attraverso le mani del papa, dall’altro avviene anche che sia lo stesso imperatore a porsi sulla testa la corona con le proprie mani. A lungo i due modelli convivono, ma alla fine nessuno dei due riesce ad affermarsi, finché, con la famosa Bolla d’oro (1356), Carlo IV, nell’intento di sottrarre definitivamente il titolo imperiale dalla competenza pontificia, stabilisce che l’imperatore debba essere nominato da sette grandi elettori di Germania.
La Bolla, tuttavia, non pone fine alla questione dell’origine del potere e, per secoli, papi e imperatori continueranno a ritenersi le uniche fonti del potere politico, dopo Dio beninteso, e, come tali, abilitati a dispensare titoli nobiliari, in un quadro di parziale commistione tra sfera laica e religiosa. Con questi presupposti si comprende come il Sacro Romano Impero Germanico, che era stato inaugurato nel 962, grazie ad un accordo tra Ottone I e papa Giovanni XII, potrà sopravvivere fino al 1806.

Nessun commento:

Posta un commento