Da parte loro, i cittadini partecipano alla scelta del governo federale, secondo il principio «un cittadino, un voto». Alla fine, come scrive Elazar, “il federalismo implica il collegamento di individui, gruppi e comunità politiche in una unione durevole ma limitata, in modo tale da permettere l’energico perseguimento di obiettivi comuni pur mantenendo le integrità di tutte le parti” (1998: 6-7). Si tratta, per usare le parole di K.C. Weare, di un “sistema di divisione dei poteri che permette al governo centrale e a quelli regionali di essere, ciascuno nella sua sfera, coordinati e indipendenti” (1997: 26).
Come primo caso noto di federazione nella storia viene indicato solitamente quello dell’antico Israele, mentre l’esempio più importante di federalismo medievale è rappresentato dalla “confederazione di repubbliche di montagne svizzere, costituita nel 1291 e finalizzata al mutuo soccorso nella difesa dell’indipendenza” (ELAZAR 1998: 102]. Tuttavia, il f. è giunto a maturità con la costituzione del sistema federale americano e si è espanso continuamente negli ultimi due secoli, tanto che oggi viene visto come una valida alternativa al nazionalismo.
Secondo A. Lijphart, “si possono identificare cinque caratteristiche fondamentali del federalismo: una costituzione scritta, il bicameralismo, il diritto delle unità componenti ad essere associate nel procedimento di emendamento della costituzione federale, ma di poter modificare la loro costituzione unilateralmente, la rappresentanza uguale o non proporzionale delle unità componenti più piccole nella camera federale e il governo decentrato” (1988: 182).
17.1. La costituzione
Perché ci possa essere una convivenza ordinata e pacifica fra Stati sovrani è necessario che essi siano dotati di forza equivalente, stabiliscano patti chiari e definiscano in modo preciso le prerogative di ciascuno. Da ciò l’importanza di una costituzione scritta, la quale, di norma, attribuisce al governo federale il controllo della politica estera, il diritto di dichiarare guerra e quello di coniare la moneta, mentre lascia ai singoli Stati più o meno ampia libertà di legiferare in tutti gli altri settori di pubblico interesse, come la sanità, il fisco, la scuola e i servizi sociali, con l’unica eccezione della facoltà di recedere dalla federazione (questo diritto, infatti, viene negato).
17.2. Federazioni e Confederazioni
Diverso è il modello confederativo: nella confederazione i titolari di diritti-doveri non sono gli individui, ma gli Stati, i quali godono di condizioni di uguaglianza, sancita dal principio «uno Stato, un voto». La partecipazione di uno Stato alla confederazione è volontaria e revocabile e nessuno può interferire negli affari interni di un altro Stato. “Neppure in casi eclatanti di violazione di diritti umani fondamentali, come nel caso di genocidio, la confederazione ha facoltà di intervenire negli affari interni di uno Stato. I diritti degli individui non trovano altra protezione in una confederazione che non quella accordata loro dai singoli Stati” (ARCHIBUGI, BEETHAM, 1998: 92-3).
17.3. Le condizioni del federalismo
In teoria è possibile una federazione di Stati retti da dittature, ma in pratica la federazione è più congeniale a sistemi repubblicani. Difficilmente, infatti, un dittatore accetterebbe di limitare il proprio potere. In teoria è anche possibile un accordo federale tra Stati che differiscono in quanto a forza militare e risorse economiche, in pratica però l’accordo è tanto più probabile quanto meno marcate sono queste differenze perché, abitualmente uno Stato molto più forte di un altro tende a dominarlo piuttosto che a considerarlo un partner di pari livello. Di fatto, un organismo politico di tipo federale risulta appetibile solo a quegli Stati che godono di una condizione economica relativamente prospera e non hanno nemici pericolosi da cui guardarsi (in genere si tratta di paesi in cui operano sistemi democratici di tipo liberale), i quali intendono così garantirsi condizioni di pace e consolidare le proprie posizioni. Al contrario, in caso di crisi economica o di grave minaccia esterna, prevale l’esigenza di costituire un governo accentrato. “La guerra e la crisi economica richiedono un controllo unitario se si vuole che i loro problemi vengano effettivamente risolti, ed impongono degli sforzi finanziari che solo i governi centrali sono in grado di sopportare” (WHEARE 1997: 375).
Come i liberali, anche i federalisti vedono “la libertà come più importante rispetto alla lotta per l’uguaglianza assoluta” e “sono disposti a sacrificare un certo grado di uguaglianza per il bene della libertà” (in POZZOLI 1997: 300). “Dal momento che il potere non è riunito in un solo centro, nello Stato federale esistono le condizioni più favorevoli per l’autogoverno locale” (LEVI 1998: 379). Su queste basi potrebbe affermarsi e prosperare la DD. Il federalismo è dunque compatibile tanto con la DR quanto con la DD, anche se oggi esistono solo modelli DR.
Secondo Elazar, repubblicanesimo e costituzionalismo sono le colonne portanti del federalismo. “La volontà di federarsi implica proprio questo: il desiderio di costruire una comunità politica composita sulla base di principi repubblicani, che si concretizza in un’apposita cornice costituzionale e che presenta come elemento fondamentale la condivisione del potere” (ELAZAR 1998: 160].
17.4. Le ragioni del federalismo
Sulla terra coesistono circa tremila gruppi etnici e tribali legati alla propria identità e alle proprie tradizioni. Il rischio che tra questi gruppi esplodano conflitti violenti è elevato e, per scongiurarlo, nel corso della storia si è fatto ricorso generalmente all’uso della forza. “Da sempre gli uomini hanno difeso la loro indipendenza, e hanno garantito la loro sicurezza, con le armi” (ALBERTINI 1999: 183). Ma, a partire dalla guerra di indipendenza americana, si è scoperto che c’è un altro modo per far convivere pacificamente le diverse popolazioni che occupano il pianeta, il federalismo, il quale, da quando le armi nucleari hanno reso estremamente pericoloso per tutti il costume di appellarsi alla guerra come arbitro ultimo nelle controversie fra i gruppi umani, “risponde al bisogno dei popoli e delle comunità politiche di unirsi per perseguire fini comuni, restando tuttavia separati per conservare le rispettive integrità” (ELAZAR 1998: 28]. Si tratta, in altri termini, di un compromesso tra esigenze di autogoverno regionale ed esigenze di governo centrale, tra esigenze di mantenere i propri valori locali ed esigenze di far parte di una comunità tanto ampia da soddisfare al meglio i bisogni dell’individuo.
17.5. Modelli di federalismo
“Esistono tre modelli principali di federalismo moderno: il sistema americano, svizzero e canadese” (ELAZAR 1998: 35], e sono tutti sistemi DR a due livelli di cittadinanza e di rappresentanza, nel senso che “ogni individuo è nello stesso tempo cittadino del proprio Stato e della federazione” (LEVI 1997: 90) e contribuisce ad eleggere i rispettivi governi. A seconda che operi a livello di uno o più Stati, il f. può essere distinto in nazionale e sovranazionale, ed è anche possibile immaginare un f. mondiale. Questo è il sogno di Kant. “I popoli, in quanto Stati, possono essere giudicati come singoli uomini […] e ciascuno di essi può e deve esigere dall’altro di entrare con lui in una costituzione simile a quella civile, nella quale a ciascuno sia garantito il suo diritto. Questo costituirebbe una federazione di popoli, che tuttavia non dovrebbe essere uno Stato di popoli” (2002: 60). In pratica, il filosofo prussiano pensa ad una Federazione mondiale, da creare sulla base di un «contratto», come quello stipulato dai singoli individui nello stato di natura. Sulla stessa linea si muove Proudhon, il quale considera il Federalismo infranazionale il primo passo per raggiungere quello sopranazionale.
17.6. Federalismo e giustizia
Il f. mondiale richiede l’istituzione di un ordine giuridico internazionale, che regoli i rapporti fra gli Stati impedendo loro di muoversi guerra, ma non un qualsiasi ordine giuridico, bensì un ordine sufficientemente giusto da poter essere condiviso. Infatti, se l’ordine fosse percepito come ingiusto da qualcuno degli Stati membri, esso potrebbe sussistere solo come ordine imposto e sarebbe facile prevedere la nascita di focolai di tensione, che potrebbero mettere in pericolo lo stato di pace. Da una pace imposta da una legge ingiusta potrebbe originare un sistema sociale invivibile. Da ciò deriva l’esigenza di accompagnare il f. con una qualche forma di giustizia, come unica garanzia di stabilità politica. Fino ad oggi il f. mondiale costituisce un sogno non realizzato. Esistono, tuttavia, due importanti casi di f. sovranazionale: gli Usa e l’Ue.
17.7. Il modello americano
La nascita di una comunità politica può avvenire in tre diversi modi: primo, per conquista armata, con esito in regimi autoritari; secondo, per evoluzione spontanea (dalla famiglia, alla tribù, al villaggio, alla città, allo Stato), con esito in regimi oligarchici; terzo, per patto, cioè in seguito all’accordo volontario fra le parti, con esito in regime democratico-federale (ELAZAR 1998: 4-5). La federazione degli Stati Uniti d’America appartiene a quest’ultimo gruppo e rappresenta il primo esempio di un’unione di Stati repubblicani avvenuta non per opera di un processo storico o della forza, ma a seguito di un libero accordo fra popoli. Per questo Hamilton potrà esclamare con commosso compiacimento: “Riuscire a varare in un momento di assoluta pace, col consenso volontario di tutto il popolo, la costituzione è un prodigio all’attuazione del quale guardo con tremante ansietà” (HAMILTON, MADISON, JAY 1997: 693).
All’epoca in cui le colonie inglesi d’America lottano per la propria indipendenza, sono due le forme di governo ritenute in grado di amministrare uno Stato grande e potente: la monarchia, dove tutti i poteri sono accentrati nella persona del sovrano, e la repubblica, dove il potere è esercitato da rappresentanti eletti dal popolo. E la democrazia? Nel Settecento l’unica forma concepibile di Democrazia è quella diretta. “In democrazia – scrive Madison – il popolo si raduna e governa direttamente” (1997: 215). Ma questa forma di governo, in accordo con quanto già espresso da Aristotele e Rousseau, è ritenuta adatta solo per piccole comunità, che però, per il fatto di essere piccole, non possono competere con le grandi monarchie e le grandi repubbliche e, pertanto, non garantiscono una sufficiente sicurezza ai suoi cittadini in caso di aggressione.
Ebbene, dopo la proclamazione d’indipendenza (4.7.1776), gli americani ritengono più consono al proprio spirito libero il modello repubblicano, ma si chiedono se devono limitarsi a costituire tredici repubbliche sovrane oppure se non sia preferibile realizzare un unico Stato federale, ancora più grande e potente. Alla fine, fatto unico nella storia dell’uomo moderno, gli americani scelgono il compromesso federale e ne scrivono la Costituzione. L’istituto della Costituzione costituisce una novità storica e rompe una lunga tradizione, secondo la quale la fondazione di uno Stato è frutto del caso o di un atto di forza. Grazie alla Costituzione, uno Stato o una federazione di Stati può originare dalla volontà liberamente espressa da alcuni e approvata democraticamente con consenso del popolo, senza nulla lasciare al caso e senza spargimento di sangue. Anche l’impianto federale della Costituzione rappresenta un fatto di novità, essendo il federalismo un orientamento estraneo alla cultura europea (la Svizzera è un’eccezione).
Che tipo di governo vogliono costruire gli americani con quella Costituzione? Tanto per cominciare, essi vogliono trovare una soluzione alternativa alla monarchia, che all’epoca costituisce la forma di governo di maggior successo, ma che si oppone al loro spirito libero. Scartata la monarchia, rimane la repubblica, ossia la forma di governo dove il popolo “si riunisce e amministra attraverso i propri rappresentanti e delegati”. Se però i Tredici Stati si unissero in federazione potrebbero “conciliare i vantaggi di un regime monarchico con quelli di un regime repubblicano” (1997: 186). Nello Stato federale, infatti, si coniugano i vantaggi della monarchia (governo centralizzato, forte e sicuro) e quelli della repubblica liberale (diritti democratici). Ma che non si tratta di una vera democrazia è dimostrato dal fatto che sono esclusi dalla cittadinanza i neri, gli indiani e le donne (il diritto di voto verrà riconosciuto ai neri e agli indiani nel 1870 e alle donne nel 1920). L’obiettivo degli americani non è quello di realizzare una democrazia, bensì uno Stato il più liberale, il più esteso e il più potente possibile, una Repubblica federale insomma, che solo impropriamente viene chiamata democrazia.
Nella Costituzione americana non troviamo alcun riferimento all’individuo e ai suoi diritti, mentre si parla dei Governi, degli Stati, del Presidente e dei Poteri (esecutivo, legislativo, amministrativo e giudiziario). Insomma, vi troviamo una logica di gruppo, piuttosto che una logica individuale. “Negli Stati Uniti, il potere esecutivo è affidato ad una sola persona, il Presidente della federazione. I ministri sono nominati dal Presidente e sono responsabili nei suoi confronti. Egli riunisce nelle sue mani i poteri di capo dello Stato e di capo del governo, risponde della propria azione non verso il potere legislativo, ma verso il popolo, che lo elegge e gli può confermare o revocare la propria fiducia ogni quattro anni” (LEVI 1997: 52). Il presidente guida anche la politica estera del paese, comanda le forze armate, nomina i pubblici funzionari e i giudici della Corte suprema. Il suo mandato dura quattro anni e può essere replicato una sola volta. Il Congresso non può sfiduciarlo, ma solo metterlo in stato di accusa (impeachment). Si tratta, in sostanza, di un sistema “a poteri separati e bilanciati” (BARBERA, FUSARO 1997: 58), il cui principale vantaggio è la stabilità, ma che non è esente da limiti. Un limite è che il popolo generalmente elegge il candidato più attraente e simpatico, che però non necessariamente è anche quello che possiede le doti migliori per governare; il secondo è che, se il presidente e il parlamento non sono disposti a cooperare, il sistema si blocca (BARBERA, FUSARO 1997: 62-3).
Il rapporto fra gli Stati non è di tipo gerarchico ed è regolato dalla Costituzione, che sta al di sopra di tutti i poteri, sia statali che federali, e il cui rispetto è garantito da una magistratura indipendente. Oltre la Costituzione c’è solo il popolo, l’unico al quale Hamilton attribuisce il potere di modificarla. “In sostanza, la sovranità appartiene al popolo federale, che la esercita attraverso diversi centri di potere” (LEVI 1997: 37). Quello che ne risulta, alla fine, è un “governo delle leggi e non degli uomini” (LEVI 1997: 47).
Alla fine, è bene riconoscerlo, il f. rappresenta quanto di più vicino alla democrazia esista, e per di più, con l’interessante prospettiva di un coinvolgimento planetario. “La democrazia federale ha reso possibile la formazione di un governo democratico di dimensioni continentali, che potenzialmente si può allargare a tutto il mondo” (LEVI L. 1997: 45).
17.8. Il Federalismo in Europa
Il modello americano esercita una forte attrazione nel Vecchio Continente, dove, insieme ai princìpi illuministi, finisce per rappresentare una sorta di miscela esplosiva, da cui trae origine l’Europa contemporanea. In Europa però il f. stenta ad affermarsi, mentre continua a prevalere la monarchia. A differenza dei secoli precedenti, tuttavia, non si tratta più di regimi autocratici, bensì di sistemi parlamentari con varie forme di diritto e di suffragio. In questa nuova temperie culturale c’è posto per l’istanza federalista, che vede prendere posizione Saint-Simon, Augustin Thierry, Kant, e altri, ma solo a livello di principio.
In Italia il dibattito politico sulla democrazia liberale e il federalismo si sviluppa solo dopo la caduta di Napoleone e dà vita ad una serie di movimenti antimonarchici, che inneggiano alle carte costituzionali, ai princìpi liberali e al federalismo. Tra i più appassionati sostenitori di un’Italia federale va ricordato Carlo Cattaneo (1801-69), che è un convinto sostenitore delle autonomie locali, come anche della creazione degli Stati Uniti di Europa. Ma le sue vedute risultano minoritarie. Cattaneo è considerato un perdente ed è costretto a vivere ai margini del potere politico, insieme ai pochi che ne condividono le idee, come Giuseppe Ferrari (1811-76), Giuseppe Mazzini (1805-72) e Carlo Pisacane (1818-57), che sono portatori di un pensiero di tipo socialista ed egualitario, laico, antispiritualistico e anticlericale. Anche Ferrari vuole un’Italia federalista e repubblicana, mentre Pisacane auspica l’abolizione di ogni gerarchia, di ogni autorità e di ogni proprietà e sogna una nazione costituita da tanti comuni amministrati democraticamente. Ma anche Ferrari e Pisacane sono dei perdenti, come pure tutti quelli che, dopo di loro, hanno continuato a propugnare il f., come Altiero Spinelli (1907-86).
Condannato (1927), a causa della sua fede comunista e il suo antifascismo prima a dieci anni di carcere e poi al confino, nel 1937, entrato in posizione critica anche con la politica dell’Urss, Spinelli viene espulso dal Pci e diviene fervente assertore del federalismo esuropeo, che lo terrà impegnato fino alla morte (cf. Graglia 2008). Nel 1941, mentre si trova al confino nell’isola di Ventotene, Spinelli scrive i Problemi delle federazione europea, in cui, insieme a Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, esprime la sua ferma volontà di realizzare concretamente gli Stati Uniti d’Europa. Il libro verrà pubblicato clandestinamente nel gennaio 1944 e passerà alla storia col nome di Manifesto di Ventotene. L’idea federalista di Spinelli nasce da una condizione di critica allo Stato-nazione e alla guerra, in un momento in cui una guerra totale sta sconvolgendo ogni vecchio equilibrio e impone una riorganizzazione degli Stati. “Un’Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto” (p. 23). Spinelli vuole attuare in Europa un ordine internazionale “mediante un ordinamento federale, il quale, pur lasciando a ogni singolo stato la possibilità di sviluppare la sua vita nazionale nel modo che meglio si adatta al grado e alle peculiarità della sua civiltà […], crei e amministri un corpo di leggi internazionali al quale tutti egualmente debbono essere sottoposti” (p. 60), determinando così il passaggio di sovranità dai singoli Stati allo Stato federale in modo irrevocabile. Spinelli pensa ad un’Europa che sorge unita dalle macerie di una guerra che vedesse perdente la Germania (p. 70-1), rompendo così con una secolare tradizione favorevole agli Stati nazionali. Per la verità, Spinelli pensa anche ad un’Europa socialista, in cui la proprietà privata sia “abolita, limitata, corretta” (p. 24) e sia garantito a tutti “un tenore di vita decente” (p. 26).
Oggi in Europa sono federali solo il Belgio, la Germania, la Spagna e la Svizzera, ma si va profilando un evento nuovo ed epocale: la stessa Europa si avvia verso un’organizzazione di tipo federale. “La necessità di unificare l’Europa è evidente. Gli Stati esistenti sono polvere senza sostanza. Nessuno di essi è in grado di sopportare il costo di una difesa autonoma. Solo l’unione può farli durare. Il problema non è fra l’indipendenza e l’unione; è fra l’esistere uniti e lo scomparire” (ALBERTINI 1999: 140-1). Il federalismo dell’UE costituisce un elemento di novità nella storia e, infatti, mentre le prime federazioni costituiscono o una variante di unificazione nazionale (Svizzera) o il risultato di un movimento di liberazione da una dominazione coloniale (Stati Uniti, Canada e Australia), l’UE rappresenta il primo caso di superamento pacifico di nazioni storicamente consolidate, il prodotto della volontà di superare la lacerazione nazionalistica del genere umano.
17.9. Federalismo USA vs Repubblicanesimo italiano (da ZINCONE 1995)
L’Italia corre verso l’Europa, che, a sua volta, corre verso il modello degli Stati Uniti. Ma arriverà l’Italia a far suo il modello americano? A giudicare dalla sua storia, probabilmente no; è prevedibile, invece, un avvicinamento con una soluzione di compromesso.
Caratteri della democrazia americana / democrazia italiana
1. Federalismo e decentramento del potere / Statalismo e accentramento
2. Presidenzialismo / Parlamentarismo
3. Stato minimo, specie in economia / Pluripartitismo e consociativismo
4. Sistema elettorale maggioritario e bipartitismo / Sistema elettorale misto
5. Contrappesi al potere della maggioranza (Corte Suprema, partito di opposizione, mezzi di comunicazione di massa non sottoposti all’esecutivo) / Contrappesi al potere della maggioranza (Presidente della repubblica, partiti di opposizione)
6. Rilevante potere delle lobbies / Rilevante potere delle lobbies e del papato
7. Pubblica opinione favorevole alla democrazia / Pubblica opinione favorevole alla democrazia, ma con qualche nostalgia per un recente passato monarchico-dittatoriale.
17.10 Federalismo mondiale
Se si riuscirà a realizzare la Federazione Europea, non c’è ragione che non si riesca a fare altrettanto a livello mondiale. I fautori del federalismo mondiale temono che, finché ci sarà un solo Stato sovrano e armato, la pace nel mondo sarà in pericolo. Sono molti oggi a vedere nel federalismo mondiale il modo migliore per governare tutti i popoli della terra. Secondo Levi, per esempio, “dopo la città-Stato, intesa come l’istituzione che ha permesso di pacificare le tribù, e lo Stato nazione, che ha garantito la pace tra le città, la federazione costituisce la forma di organizzazione politica che consente di pacificare le nazioni e di unificare intere regioni del mondo e in prospettiva tutto il pianeta” (1998: 380). Lo stesso pensiero è sviluppato da M. Albertini. “La democrazia diretta – scrive lo studioso – fu il governo democratico degli uomini appartenenti all’ambito di una città [...]. La democrazia rappresentativa fu il governo democratico degli uomini appartenenti ad una nazione [...]. Il sistema federale [...] è il governo degli uomini appartenenti ad uno spazio supernazionale, e che può giungere fino a quello del mondo intero” (1999: 57). Secondo Albertini, la vocazione del federalismo è la conquista del mondo, perché “la democrazia federale non può funzionare stabilmente se non ha dimensioni mondiali” (1999: 58).
Daniele Archibugi parla di democrazia cosmopolitica: “un progetto estremamente ambizioso il cui obiettivo è il conseguimento di un ordine mondiale ispirato ai valori della legalità e della democrazia” (1998: 66). Egli è convinto che non può esserci democrazia locale senza democrazia globale. “La democrazia nazionale e la democrazia globale sono due facce della stessa medaglia, e senza il conseguimento di entrambe il viaggio verso la democrazia rischia di interrompersi tragicamente” (ARCHIBUGI, BEETHAM 1998: 86). Membri del sistema cosmopolita sono tanto gli Stati quanto i cittadini. L’esempio che più si avvicina al modello della democrazia cosmopolita è l’Unione Europea. Al suo interno operano due fondamentali princìpi: «uno Stato, un voto» e «un cittadino, un voto». È una democrazia di Stati e di cittadini.
17.11. Una questione aperta: la divisione del potere e il federalismo individualista
Gli Stati federati non sono ordinati in modo gerarchico, come avviene fra gli apparati di uno Stato unitario, ma dividono fra loro il potere: nessuno Stato concentra tutti i poteri nelle proprie mani, mentre a ciascuno è riconosciuta un’autonomia impositiva (federalismo fiscale) e amministrativa. La sussistenza della federazione si basa sulle norme costituzionali, che devono perciò essere scritte e rigide e devono avere un valore superiore a quello delle leggi ordinarie. Il federalismo non si oppone all’idea di Stato, ma solo a quella di potere centralizzato. Esso esige che il potere venga diviso. Ma diviso fra chi? È questo il punto.
Prendiamo, ad esempio, l’Italia. I federalisti dicono: “Non è bene che il potere rimanga concentrato a Roma; è bene che venga partecipato dalla periferia”. Ma che cos’è la periferia? Innanzitutto le regioni. Secondo il progetto federalista, ogni regione dovrebbe diventare un mini-stato sovrano, inserito in uno Stato più grande, che è l’Italia. Viene da chiedersi: “Perché la logica federalista non dovrebbe essere applicata anche all’interno di una singola regione?” Prendiamo la Sicilia. Perché il potere dovrebbe rimanere concentrato a Palermo, e non invece diviso fra le province? Poi però anche i comuni potrebbero osservare: “Perché non dovremmo partecipare anche noi al potere?” I comuni, tuttavia, non sono entità semplici: al loro interno possiamo riconoscere le circoscrizioni, le imprese produttive, le unità commerciali, i servizi, i condomini, le famiglie. C’è qualche ragione perché la logica federalista non debba essere applicata anche a queste realtà? Perché esse non potrebbero legittimamente richiedere il riconoscimento del diritto all’autonomia e all’autogoverno? E così, seguendo questo percorso, a cascata, si giunge al singolo individuo. Perché negare al singolo individuo il diritto a candidarsi come il più piccolo e fondamentale centro del potere politico?
A mio giudizio, l’unico federalismo credibile è quello che sia disposto a condurre i propri princìpi fino agli estremi limiti, quello cioè che non si accontenti di fermarsi, come aveva fatto Proudhon, al capo-famiglia, che pure è già da considerare un limite coraggioso, ma che voglia giungere fino all’individuo. Il federalismo ideale è quello che, coerentemente coi suoi principi di fondo, sia disposto a distribuire il potere a tutti i cittadini, in condizione di parità, ossia il federalismo individualista, il quale si basa sulla promozione indiscriminata e incondizionata dell’individuo, sul riconoscimento di alcuni fondamentali diritti individuali (pari opportunità, accesso paritario e illimitato ad ogni genere di informazione, facoltà di partecipare alla stesura dell’ordine del giorno) e sulla rappresentanza con mandato imperativo. Insomma, per essere coerente coi propri princìpi, il federalismo non può limitarsi al gruppo, ma deve estendere i diritti di cui si fa promotore fino all’estremo limite. Ma, a questo punto, che cosa sarebbe il federalismo se non una DD?
Il fatto è che, in pratica ci si guarda bene dall’estendere la logica federalista ai singoli individui e, abitualmente, ci si ferma alle regioni, anche se non si esclude la possibilità di includere le province e perfino i comuni, ma nessuno pensa che si possa andare oltre. Così facendo, il federalismo finisce col moltiplicare le istituzioni dotate di potere politico, dal momento che al potere centrale si aggiungono i poteri locali. In ogni caso i cittadini comuni rimangono esclusi dalla partecipazione politica e la società rimane comunque di tipo duale, con una classe dominante minoritaria e la maggioranza dei cittadini sottomessi, il cui unico potere riconosciuto è quello di eleggere liberamente i propri rappresentanti.
17.12. Un sistema per ricchi?
Chi ci guadagna in un siffatto ordinamento politico? Certamente gli uomini che hanno aspirazioni di potere: un sistema federale ne può accontentare un numero maggiore che qualsiasi altra forma di governo. Certo, i signori di Roma dovrebbero dividere il potere con quelli della periferia, ma in compenso la loro posizione risulterebbe più stabile. Globalmente considerato, il potere risulterà più esteso e livellato, ma anche più sicuro, sia a causa delle condizioni di pace garantite dal federalismo, sia perché tutti i più temibili concorrenti, avendo la propria fetta di potere, sono poco motivati ad agitare le acque. Semmai ci si potrebbe aspettare qualche rimpasto, qualche scambio di ruoli, ma la classe dominante rimarrebbe comunque ben salda al comando. Oltre agli uomini di potere, a guadagnarci col federalismo saranno i centri più ricchi di risorse, che potranno avere la meglio nella competizione con gli altri centri meno fortunati, e diventare sempre più ricchi. Non per niente il federalismo è caldeggiato prevalentemente dalle regioni più benestanti e dai personaggi medio-borghesi con ambizione di potere. Per la stessa ragione, il federalismo si sposa molto bene col capitalismo e prospera laddove sono diffusi i valori del libero mercato, del libero scambio, della libera competizione, della libera iniziativa, valori tipici del capitalismo, dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
E i cittadini? Per loro cambierà poco o nulla. Il potere non sarà mai nelle loro mani. Essi continueranno ad eleggere i propri rappresentanti con delega apparentemente soggetta a verifica, ma in realtà in bianco, e il loro voto sarà conteso a suon di spot pubblicitari e di campagne propagandistiche da parte di chi detiene il potere economico e controlla i mezzi di informazione di massa. Molti cittadini probabilmente capiranno il sottile gioco di cui sono vittime e si ritireranno dalla politica. Così a governare il Paese resteranno solo quanti hanno grossi interessi privati da difendere, che verranno sostenuti dalla massa di cittadini ignari di essere solo uno strumento. In pratica, il Paese sarebbe governato da potentissimi gruppi, società, compagnie e lobbies.
Anche se dovesse essere concessa ai cittadini la facoltà di prendere una qualche decisione attraverso il voto referendario, in realtà, fintantoché il potere sarà nelle mani dei rappresentanti, questi troveranno mille espedienti per impedire che prevalga la volontà del popolo. Così, il governo del Paese sarà appannaggio dei cittadini dalla classe media in su, i quali governeranno a proprio vantaggio, con la conseguenza che una larga fascia della popolazione dovrà confrontarsi quotidianamente con problemi di mera sopravvivenza, nel rispetto del tipico modello capitalista: chi è ricco diventa sempre più ricco, chi è povero sempre più povero.
Alla luce di quanto appena detto, possiamo distinguere due forme di federalismo. Il primo, che chiamiamo «individualista» o DD, vuole che tutti i cittadini siano sovrani, tutti partecipino in egual misura al potere politico, tutti abbiano pari opportunità, pari accesso all’informazione, pari controllo dell’ordine del giorno, e la rappresentanza sia solo con mandato imperativo. Esso è considerato utopico e, per questo, non trova riscontri pratici. Il secondo, che chiamiamo «statalista» o DR, rappresenta l’unica forma esistente di federalismo, ed è ad esso che facciamo riferimento quando non specifichiamo diversamente. Ebbene quali sono i pro e i contro del federalismo DR?
17.13. Vantaggi e svantaggi del Federalismo
Uno dei principali vantaggi del f. è quello di scongiurare i pericoli legati al nazionalismo. “I federalisti si distinguono da tutte le altre correnti politiche, siano esse democratiche o antidemocratiche, in ciò: che essi considerano come un nemico da abbattere quella stessa cosa che tutti gli altri considerano, ciascuno a modo suo, come un idolo da venerare o da servire: lo Stato nazionale” (in POZZOLI 1997: 287). “Inteso correttamente, il federalismo si contrappone allo stato nazionale centralizzato e reificato, che è il principale prodotto del nazionalismo dell’epoca moderna” (ELAZAR 1998: 105). È proprio su questo aspetto del f. che si fonda il tentativo di realizzare un’Europa unita. “La novità dell’esperimento federativo europeo consiste nella ricerca di una risposta istituzionale alla crisi dello Stato sovrano” (LEVI 1998: 379).
Un altro importante vantaggio del f. è legato al principio «l’unione fa la forza». “Tutti i popoli che hanno dovuto sostenere grandi guerre sono stati indotti, anche involontariamente, ad aumentare la forza del governo; quelli che non hanno potuto farlo, sono stati conquistati” (Tocqueville 1996: 164-5). La Federazione, invece, rende più forte il singolo Stato, senza che esso incrementi il suo armamento.
Secondo J. Maritain, il f. “appare come l’unica via aperta per la soppressione della guerra” (messaggio pronunciato alla radio di New York il 25.3.1944 (in POZZOLI 1997: 107). In realtà, solo un f. mondiale potrebbe conseguire questo ambizioso traguardo, che è particolarmente appetibile in un’epoca, come la nostra, in cui le armi sono più terrificanti, il loro costo più oneroso, il pericolo di conflitti maggiore che nel passato. Ebbene, oggi, un f. mondiale dei popoli, che non sia una semplice confederazione di Stati sovrani come la Società delle Nazioni o l’Onu, potrebbe effettivamente conseguire cessazione delle guerre tra Stati sovrani e garantire una pace universale durevole.
Ma i vantaggi non si fermano qui e, poiché una loro trattazione richiederebbe uno spazio eccessivo, mi limito a menzionarne i seguenti:
• La sovranità di «gruppo» sostituisce quella di «Stato».
• Molti «gruppi» partecipano al potere (poliarchia).
• Si realizza un ottimo compromesso tra l’esigenza di conservare i vantaggi di un grande Stato ed l’esigenza dei singoli gruppi di tutelare la propria identità.
• Si allarga la classe sociale media, fatta di cittadini proprietari e benestanti, che hanno a cuore l’istruzione, l’autonomia e la partecipazione al potere.
• Si favorisce il cammino verso una democrazia allargata ad un gran numero di cittadini.
• C’è interesse a mantenere condizioni di pace.
• Si dà impulso alla libera iniziativa e alla libera competizione, con conseguente crescita economica del Paese.
• Il capitalismo e l’economia di mercato trovano le condizioni ideali per prosperare.
Tra gli svantaggi del f. vorrei ricordare i seguenti:
• Il federalismo risponde ad una logica di potere, il potere dei ricchi.
• C’è poco interesse per la promozione dell’individuo, ma si perseguono logiche di gruppo.
• Al rispetto della volontà dei cittadini si antepone la ragion di Stato.
• L’individuo è ridotto al ruolo di strumento, a semplice soggetto di consumo e produttore di voti.
• Al rispetto del principio di maggioranza (se per tale s’intende il 51% degli aventi diritto al voto) si antepone quello della stabilità del governo. Esempio: se va a votare il 30% dell’elettorato, diventa legge ciò che decide la maggioranza di questo 30%. Al federalismo non interessa ciò che pensa il 70% che non va a votare, ma solo che vi sia una legge.
• Poiché, solitamente, vanno a votare coloro che hanno interessi da difendere, si finisce per istaurare una dittatura della classe media, che possiamo chiamare poliarchia o oligarchia allargata, ma non democrazia.
• La ricchezza non è distribuita secondo i meriti individuali, ma continuerà a sussistere una differenziazione di status sociale per nascita.
• La pace federalista non è avversione per la guerra, ma amore dello statu quo da parte dei ricchi, i quali, a differenza dei poveri, non hanno alcun interesse a cambiare il sistema.
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