Costituzionalismo vuol dire fondare il potere legislativo su alcuni princìpi generali condivisi, quegli stessi princìpi che, in passato, venivano ricondotti a un dio e chiamati «legge di natura» e che ora chiamiamo articoli della costituzione.
L’esigenza di una c. scritta nasce per la prima volta in America, quando i delegati delle Tredici colonie inglesi, che si sono rese indipendenti dalla madrepatria e sono prive di una propria tradizione, si riuniscono in Convenzione a Filadelfia e scrivono la prima c., nella quale stabiliscono di attribuire il potere esecutivo al Presidente e il legislativo al Congresso (1787). Si tratta di un «governo presidenziale», in cui i poteri esecutivo e legislativo sono separati, ma entrambi legittimati dal popolo (BARBERA 1997: 28). È la prima volta, nella storia moderna, che un popolo costruisce deliberatamente il tipo di governo sotto cui desidera vivere: se nel passato la fondazione di uno Stato rappresentava il frutto del caso o della forza, adesso, grazie alla formula costituzionale, uno Stato o una federazione di Stati possono originare dalla volontà liberamente espressa da alcuni e approvata democraticamente col consenso del popolo, senza nulla lasciare al caso e senza spargimento di sangue. Questa è la principale novità apportata dal costituzionalismo, che troverà fortuna in Europa, dove si diffonderà come reazione all’assolutismo monarchico e alla personalizzazione del potere, resi obsoleti dai princìpi dell’illuminismo ormai dilaganti. Se fino ad allora il potere era esercitato da un monarca, da un signore o da una ristretta oligarchia, ora la c. affida il potere ad una entità impersonale, che “può essere lo stato, la legge, una certa dottrina politica, la nazione, il popolo, la classe, ma non più un concreto gruppo di individui” (POMBENI 1997: 23).
I paesi costituzionali sono caratterizzati dalla divisione dei poteri in legislativo, esecutivo e giudiziario, secondo le indicazioni di Montesquieu, mentre l’apparato burocratico si dà leggi proprie e acquista un proprio potere indipendente.
10.1. Teoria e realtà
La nuova società, nel suo insieme, assume l’aspetto di uno «Stato di diritto», in cui il principio d’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge va sostituendo il vecchio principio delle differenze di status già presenti alla nascita. Insomma, se prima si nasceva nobili o plebei, adesso si parla di «contratto sociale» fra uomini liberi ed uguali, che sono ritenuti capaci di decidere del proprio destino e di accordarsi sulle regole del governo. Così, il cittadino acquista dignità sociale e si comincia a parlare di un suo diritto alla partecipazione politica, sia pure attraverso la mediazione di propri rappresentanti eletti e di partiti politici, che diventano delle potenti “macchine elettorali” (POMBENI 1997: 84), la cui funzione è quella di indicare i candidati rappresentanti, evitando così la dispersione del voto. I propositi sono certamente encomiabili e i proclami condivisibili. Il problema è che, dietro le parole, spesso si scorge una realtà ben diversa, dove le differenza di status sociale per nascita continuano a sussistere, così come le disuguaglianze dei cittadini di fronte alla legge.
10.2. La costituzione italiana
Nel nostro paese la c. è stata scritta da un’apposita Assemblea Costituente in 139 articoli, che delineano un sistema politico di tipo DR, con l’aggiunta di un solo elemento DD, che è il referendum (BIN 1998: 66). A garanzia del rispetto e della fedele interpretazione della c., è stata istituito un corpo di 15 membri eletti dal parlamento, la cosiddetta Corte costituzionale, che è chiamata ad un compito improbo, dovendo controllare le oltre 200 mila leggi e atti normativi che sono oggi in vigore nel nostro paese.
10.3. Limiti del costituzionalismo
Un limite intrinseco a tutti gli enunciati di principio fissi è che possono divenire obsoleti col passare del tempo, e a questa regola non sfugge la c.. Oggi, la c. appare, per alcuni versi, insufficiente o superata e, da più parti, si avverte l’esigenza di una sua riforma, che però non si fa, non tanto per difficoltà intrinseche, quanto “perché i partiti sono in disaccordo e fanno valere tutto il loro potere di veto” (BIN 1998: 123).
18. Teocrazia
15 anni fa
Un ragazzo un giorno mi ha detto "La democrazia è una dittatura autorizzata". Forse non aveva tutti i torti. Infatti chi viene eletto dal popolo può fare quello che vuole (o quasi). Chi viene eletto dal popolo (tra l'altro non direttamente)come presidente del consiglio in Italia, si può ritenere un sultano proprietario di un sultanato. Perciò per lui la nazione diventa 'azienda'.
RispondiEliminaHai ragione. Se vuoi sapere che cosa ne penso sul tema clicca qui
RispondiEliminahttp://studisudemocrazia-democrazia1.blogspot.com/